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L'IMPOSTAZIONE DI FRANCESCO CAMPIONE 

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Francesco Campione, medico e psicologo tanatologo, provoca nella concezione etimologica del termine "pro" e "vocare", cioè  “chiamare fuori; chiama ad una reazione emotiva oltre che cognitiva; “costringe” a porsi domande, riflessioni e a interrogarsi sul proprio sentire relativamente all’amare  e all’amore, al morire e alla morte. 



L'identificazione

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Secondo l'impostazione campioniana,  il modo di vivere il rapporto d’amore, la morte e l’elaborazione di un lutto possono assumere significati differenti a seconda dei modi di concepire se stessi e l’uomo in generale. Si possono quindi individuare tre identificazioni:


- L’essere Biologico, che concepisce se stesso prevalentemente come organismo biologico, determinato dalle leggi della biologia e in una relazione di adattamento con l’ambiente;


- L’essere Personale, che concepisce se stesso prevalentemente come un individuo unico e irripetibile, rappresentato dalla sua biografia e in una relazione ermeneutica con l’ambiente;


- L’essere Umano, che concepisce se stesso prevalentemente come un essere sociale, impegnato nella co-costruzione di trame del vivere con/per altri e in una interrelazione con l’ambiente sociale.  

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I vissuti sull'amore

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Partendo dalla celebre esortazione dell’amore cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso” l’autore individua ulteriori declinazioni che evidenziano come con il termine “amore” si esprimano concetti a volte assai differenti a seconda delle diverse identificazioni:


- “Ama il prossimo tuo pensando a te stesso” è la prospettiva biologica, che sottintende il “calcolo” di una ragione più o meno matura sia nella convenienza del dare che nell’interesse del ricevere. E’ l’amore basato prevalentemente sull’attaccamento a coloro che possono essere strumento di soddisfazione dei propri bisogni.


- “Ama il prossimo tuo in quanto te stesso” è la prospettiva personale, in cui l’altro assume valore prevalentemente in base al proprio sentire. E’ l’amore basato sull’assimilazione a sé dell’altro, e che tende perciò a revocarne di fatto l’alterità. L’altro è dunque commisurato a me nel momento in cui - tramite il mio amore - diviene parte di me; non è “un altro me stesso” fuori da me (come nella prospettiva cattolica) ma “un altro me stesso” dentro di me (per identificazione proiettiva).


- “Ama il prossimo tuo in quanto se stesso” è la prospettiva umana, nella quale l’altro non viene strumentalizzato né assimilato ma desiderato; ci si sente responsabili per lui, si desidera il suo bene. L’abissale distanza tra l’io e l’altro diviene approssimazione all’infinito e l’amore il reciproco parlarsi da una sponda all’altra senza ridursi l’uno all’altro.  



I vissuti sulla morte 

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Come l’amore, così anche la morte e il morire possono assumere significati differenti in base alla propria identificazione prevalente:


- Morire “oggettivamente”: è la prospettiva biologica, nella quale la morte è un passaggio naturale della materia organica che rientra nel ciclo vitale. La “buona morte” in questa ottica dipende da parametri oggettivi (come la lunghezza della vita, la quantità di dolore, etc).


- Morire “soggettivamente” è la prospettiva personale, nella quale la morte è un passaggio ad  un’altra vita o al nulla o all’ignoto; in questa ottica la “buona morte” è giudicata in base ai vissuti di coscienza soggettivi (percezioni, immagini, significati, etc).


- Morire “intersoggettivamente”: è la prospettiva umana, nella quale la morte è sostanzialmente un passaggio ad altri; in questa ottica la “buona morte” è affidarsi all’altro, morendo per lui, cioè tenendo conto di cosa sarà la nostra morte per lui.


 

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I vissuti sul lutto 

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A fronte di quanto detto, ne deriva - per ciascuna identificazione -  un diverso modo di vivere la morte dei propri cari, strettamente legato al modo in cui li abbiamo amati, che quindi implica e richiede un diverso processo di elaborazione del lutto:


- Lutto come perdita: è la prospettiva biologica, nella quale - attraverso un lavoro cognitivo - si può ristabilire l’adattamento perduto, sostituendo chi non c’è più nelle sue funzioni vitali e facendo riaffiorare il senso di sopravvivenza e benessere.


- Lutto come assenza: è la prospettiva personale, nella quale -  attraverso un lavoro sulle narrazioni e dinamiche soggettive - si fa vivere dentro di sé chi non c’è più e si riacquista il senso di appartenenza a se stessi.


- Lutto come armonizzazione: è la prospettiva umana, nella quale - attraverso un processo di riavvicinamento agli altri - si può continuare a desiderare chi non c’è più e ad assumersi la responsabilità di sostituirsi a lui e vivere un po’ anche per lui.  


Il "perpatire"

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E' uno dei concetti-chiave dell'impostazione di Francesco Campione, secondo il quale “la sofferenza del’altro che ospito in me è una responsabilità mia non nel senso che posso decidere io come sentirla in me, ma nel senso che il mio essere si mette a sua disposizione  in modo disinteressato,  cioè a prescindere da ciò che fa del mio essere. Perché la sofferenza dell’altro non mi appartiene, ma mi riguarda”. 


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